venerdì 5 febbraio 2016

Storia di A.

A. ha nove anni e parecchi problemi. Che genere di problemi non lo so, ma ha un'insegnante di sostegno e una mamma che pensavo che fosse sua nonna, poi ho scoperto che è più giovane di me.
A. è lungo, secco e cammina dinoccolato; ha lo sguardo sempre lontano e le mie figlie non lo reggono perché tira i capelli e parla da solo, spesso a sproposito.
A. mi fa tenerezza per quello suo sguardo in vacanza e quella sua mamma-nonna che trovo in ciabatte a giocare al videopoker ogni giorno.
Venerdì c’è stata la recita di fine anno al teatro del paese; il teatro era pieno di genitori, Samsung, iPhone, iPad e tablet di vario genere. Ogni genitore aveva una lacrima pronta a scivolare sul display e la batteria carica, la mamma-nonna si era persino ricordata di mettersi le scarpe.
Lo spettacolo è stato uno spettacolo; bambini e insegnanti avevano lavorato a scenografie, testi, musica, costumi e ruoli. Tutto perfetto, nella beata innocenza dei fanciulli che recitavano le loro battute con la passione di attori consumati e con la stessa emozione.
S’arriva alla fine; tutti i bambini si portano sul palcoscenico, i flauti in prima fila. Parte la chitarra, poi la fisarmonica, infine i flauti. A. si mette di fronte al microfono e comincia a cantare, indeciso.
I compagni dietro di lui sono imbarazzati, scuotono la testa, ora ci rovina la recita pensano. Ma A. prende coraggio, gli piace star davanti a tutta quella gente, gli piace sentire le luci su di sé, gli piace la sua voce amplificata. Così si corregge, trova la tonalità e si trasforma, interpreta con il suo sguardo in vacanza e i suoi gesti sconnessi quella canzone delicata in vernacolo che tiene il filo dello spettacolo, manco l’avesse scritta lui.
A canzone finita il suo sguardo non era più lontano, era tornato sulla terra a godersi l’applauso, è sceso dal palco e se n'è andato, dinoccolato, al fianco della sua mamma-nonna.