sabato 14 aprile 2012

Il grande omento

La sua voce dal timbro basso e quieto mi aveva colpito subito. Non l’aspetto o il modo di fare o il passo o il modo di vestire, ma la voce. Ognuno di noi ha un punto forte; la voce era il punto forte di Max.
Max aveva anche un buon occhio, ma questa non si può definire una caratteristica evidente; osservava molto, spesso in silenzio, e vedeva cose che gli altri non vedevano. Infatti faceva il fotografo.
Fotografava luoghi e oggetti, poco le persone. Aveva comprato un iMac, uno dei primi, quelli un po’ fighetti che erano solo monitor e erano stati fatti in 5 accattivanti colori. L’aveva preso rosso fragola, e con quello elaborava le sue foto, studiava i livelli e la saturazione fino ad arrivare a quello che per lui era il risultato ottimale. La prima volta che vidi le sue foto a monitor esclamai banalmente: caspita che colori! E lui: vorrei ben vedere, trascorro solo intere giornate a calibrarli secondo la mia idea di colore.
Abitava in un bilocale dietro porta Genova, senza ascensore, come si conviene alla maggior parte delle belle case di Milano. C’erano lunghe rampe di scale ripide per arrivare da lui, e farle con l’happy hour sul groppone era un’impresa. Sulla parete di fronte alla porta d’ingresso aveva appeso un poster del circo di Moira Orfei che io non mi sarei messa in casa neanche se costretta, perchè quella faccia tirata e fittizia mi dava fastidio. Ma a lui piaceva l’arancione fluorescente della base e quel viso artefatto, e la pettinatura esagerata che lei sfoggiava con orgoglio da circense navigata, il finto neo così retrò sulla guancia e la grande scritta che la sovrastava.
Eravamo compagni di serate, aveva grande allegria e voglia di usarla così spesso che uscivamo io e lui. Bastava un sms: allora? ed era già un puntello. Quando ai Magazzini Generali, per concerti o serate free entrance, quando agli aperitivi in Ticinese, quando alle serate house dello Europe cafè di via Vigevano.
Ballava senza vergognarsi, cosa rara in un uomo, e beveva con gusto. Compagni di cuba libre.
Proprio davanti ad un cuba mi disse guarda cosa mi è successo oggi, sollevandosi la camicia e mostrando il torace ricoperto di folti peli neri. Nel mezzo, proprio sullo sterno, gli era cresciuta, dal giorno alla notte, una specie di grossa noce sottopelle. Stava lì, con la camicia sollevata mostrandomi quella grossa noce.
-Cosa potrà mai essere?
-Non lo so, domani ho appuntamento con il dottore.
Era una grossa noce cattiva, una noce maligna.
Il suo dottore rimase di sasso quando la vide, mi raccontò poi. Fece un sacco di telefonate e prese tutti gli appuntamenti del caso. Nel giro di una settimana quella noce aveva un nome, una diagnosi, e una terapia, e tutto l’interesse di una équipe di oncologi attirati dall’eccezionalità dell’evento.
-Mi è venuto un cancro al grande omento. Sai cos’è? E’ tipo la membrana che trattiene le nostra interiora. Sai quella roba che si usa per fare i fegatini di maiale, ecco, una cosa così. Io non sapevo neanche che esistesse, il grande omento. Se ne esco fuori voglio scriverci un libro. “Il Grande Omento”, senti che bel titolo.
Cominciò le cure, la solita trafila. Asportazione chirurgica, radio, chemio. I capelli non li perse perchè era già calvo e questo era un punto a favore della calvizie, per il resto accusò come tutti il peso la terapia. Cioè come se fosse costretto a buttarsi sotto un treno una volta ogni 15 giorni.
Ogni tanto esponevano il suo caso a qualche congresso e gli chiedevano il permesso di mostrare le cartelle cliniche e le foto della sua noce, prima, durante e dopo l’asportazione.
Il cancro al grande omento pare fosse rarissimo, quando si dice il culo.
Io per qualche tempo lo seguii, gli telefonavo o andavo a trovarlo. Poi si dovette ricoverare per un qualche tempo e non me la sentii più. Era come se quella noce cattiva mi guardasse e mi dicesse stai lontana da qui, come se la sua malattia fosse diventata un muro di vetro che mi impediva di avvicinarmi. Oggi lo chiamo con il suo nome, quel muro: codardia, allora erano impegni improrogabili, cantieri da seguire, progetti da finire.
Quando ha perso la sua guerra io mi ero già trasferita lontano da Milano. Me lo disse il mio amico Fabio, molto tempo dopo, mi disse che la sua fidanzata lo aveva accompagnato in tutte le battaglie e che aveva in mente una fondazione con il suo nome.
Da allora ogni tanto penso a come rimediare a ciò che rimedio non ha.
Per lo meno gli dedico una nota: Il Grande Omento.
Sì Max avevi ragione, proprio un bel titolo.