domenica 12 febbraio 2012

Il sig. Livio

Il sig. Livio era un signore molto distinto.
Piccolo di statura, aveva un grande naso e baffi folti che si era fatto crescere per mascherare i segni di un ictus che lo aveva colpito, deformandogli leggermente il viso.
Era un uomo pacato e tranquillo, non alzava mai la voce e non sopportava le situazioni di tensione.
Il medico gli aveva detto che non doveva arrabbiarsi perchè il cuore era stanco e lui, ligio, cercava di seguire questo consiglio in ogni modo e in ogni comportamento.
Quando si trovava in mezzo agli abituali battibecchi tra moglie e figlio cercava di cambiare discorso, inutilmente. Allora si alzava e si muoveva per la stanza, per levarsi d'impaccio; si sedeva sul divano e aspettava che Micia gli venisse in braccio. Era l'unico della famiglia a godere di questo privilegio felino.
Anche prendere il gatto fu su consiglio del dottore, perchè i gatti aiutano i cardiopatici.

Il sig. Livio aveva studiato in orfanatrofio, era un Martinitt, e questo era motivo di orgoglio, perchè l'istituzione dei Martinitt era prestigiosa. A scuola aveva imparato a suonare il pianoforte e nel secondo dopoguerra, quando era giovane, si guadagnava da vivere suonando nei locali notturni della Milano in ricostruzione.
Poi era entrato in fabbrica; all'inizio degli anni '70 la fabbrica aveva messo in cassa integrazione gli operai, e lui passava la notte in Galleria insieme ai compagni di lotta, e la moglie lo andava a trovare e a portargli il cambio dei vestiti, con il figlio ancora piccolino.
Al fallimento della fabbrica aveva passato mesi disperato, perchè ormai era uomo fatto e non avrebbe trovato lavoro facilmente, ma era riuscito ad arrivare alla pensione grazie alla Olivetti. Allora lui e sua moglie si erano ritirati dalla città ed erano andati a vivere in un piccolo paese sopra Luino, nella vecchia casa dove la moglie era nata e cresciuta.

Quando il sig. Livio era imbarazzato tamburellava con indice e medio tesi sul cuore, come per ricordarsi di non cedere all'emotività.
Aveva una ossessione per il freddo e si copriva sempre le spalle con un piccolo scialle e la testa con un cappellino di lana fatto all'uncinetto. Nelle notti particolarmente fredde il cappellino non lo abbandonava neanche a letto.

L'altra sera a letto sentivo il freddo entrarmi dalla testa, perchè non stavo tanto bene, fuori era freddo vero e la casa è vecchia e gli spifferi sono dappertutto. Allora ho preso una delle mie fasce di lana fatte a mano e me la sono calata sulla fronte; l'immediato senso di tepore mi ha sorpreso e mi sono chiesta perchè non l'avessi fatto prima. E poi mi è venuto in mente il sig. Livio.
Mi piace lasciar libera la mente di intraprendere questo genere di viaggio.

martedì 7 febbraio 2012

La grotta

Quando nel 1994 quattro compagni ed io abbiamo dato vita al primo Centro Sociale dell’Architettura detto “la grotta”,  disponevamo di una avanguardistica dotazione informatica proveniente direttamente dalla cameretta di casa, fresca di tesi di laurea, e l’US Robotics costava 500.000 lire.
Io sfoggiavo un futuristico Power Mac portatile con ben 4 Mb di HD, e gli altri compagni non erano da meno. Essi lavoravano sulla mirabolante piattaforma Windows, quindi consideravano la potenza del mezzo direttamente proporzionale alla dimensione della tower.
I monitor occupavano l’intera superficie della scrivania e con la bella stagione il loro efficiente sistema di raffreddamento influenzava il pur mite clima della grotta, creando in sinergia con la percentuale di umidità presente, una temperatura costante percepita intorno ai 43°.
La rete tra le postazioni funzionava perfettamente grazie all’incessante passaggio di dati su floppy disk da 1,4 Mb, poi sostituiti da avveniristiche quanto costose cartucce Iomega ZIP da 100 Mb. Noi utenti mac dovevamo avere la gentilezza di specificare l’estensione nel nome del file da condividere e tenevamo sotto costante esercizio il nostro acume dovendo intraprendere complicatissimi giochi senza frontiere per l’esportazione dei files vettoriali da minicad ad autocad. I compagni utenti windows apprezzavano i nostri sforzi di compatibilità, e sottolineavano con sarcasmo la perfettibilità del sistema ad  ogni tentativo fallito.
Per ottenere totale interscambiabilità degli elaborati progettuali utilizzavamo perciò un vetusto quanto efficacie supporto rigido di precisione detto “tecnigrafo” con il quale ci interfacciavamo attraverso  la tecnologia morbida detta “del rapidograph”, tecnica veloce ma che ci costringeva, nel momento del bisogno della sua riproducibilità, ad interminabili attese in copisteria.
Ad una tale potenza di dotazione informatica non corrispondeva una altrettanto degna quantità di committenza e questo ci regalava incommensurabili delta T di ozio, che trascorrevamo in partecipati dibattiti sul senso dell’architettura chiacchierata.

Poi, dopo un paio d’anni, sono arrivati i Pisellini.
I Pisellini devono il loro nome al nipotino di Braccio di Ferro, e la geniale denominazione a Lorenzo. Germogli di architetti provenienti da un corso di composizione presso la Facoltà, erano stati attirati in grotta per diventare il braccio creativo del gruppo di lavoro del concorso sull’area Falck (quella di Penati). Neanche trentenni, ci sentivamo già degli anziani progettisti e confidavamo nella vérve creativa di giovani studenti, impegnandoci con ottimismo immotivato nel mondo dei concorsi di idee per uscire dalla penombra ed entrare nella storia e sederci accanto alle rockstar dell’architettura.
Il primo giorno di lavoro, i Pisellini si sono portati i loro computer, li hanno sistemati sul tavolo delle riunioni e hanno cominciato a lavorare. Erano in grado di restare immobili davanti al monitor senza alcun segno apparente di insofferenza e la loro strumentazione era stupefacente.
I loro pc emettevano suoni. Un prodigio della tecnica. Avevano casse collegate  e una scheda audio atta all’uopo. Suonavano musica di gruppi lontani anni luce come Underworld, Prodigy, Chemical Bros, Orb. Praticamente una rivoluzione culturale.

A parte la presenza immateriale de La Moglie di Lorenzo, la grotta vedeva la frequentazione quasi esclusiva di elementi di sesso maschile. Io sola mi pregiavo di essere esponente dell’altro sesso,  sebbene con caratteristiche di ibrido data la permanenza prolungata in ambiente così maschialmente caratterizzato.
L’oscuro laboratorio si illuminava a volte della collaborazione temporanea di figure femminili dette per coerenza di termini “Le Piselline”. Queste venivano accolte dall’entusiasmo dei 4/5 del direttivo della grotta e dal mio insindacabile giudizio propedeutico all’ammissione.
Si dividevano in Piselline Sciolte e Piselline Fidanzate, poiché a volte i Pisellini manifestavano l’ingenua aspirazione ad una vita sociale. Altre figure femminili si palesavano nei meandri della grotta, per lo più parenti dei soci fondatori o compagne sull’orlo della separazione, minacciata o conclamata, o le amiche preoccupate per la nostra salute mentale che si avventuravano nella speranza di portarci a riveder  le stelle.
Pisellini e Piselline partecipavano allegramente a qualunque iniziativa partisse dal direttivo, prediligendo le maratone dei concorsi, fino alla magnifica vacanza.zip, viaggio iniziatico sulla strada che da Le Corbusier conduceva a Frank Ghery, durante la quale percorremmo circa 4000 km in 4 giorni per ammirare l’Unité d’Habitation di Marsiglia, la Chapelle di Ronchamp e Il Guggheneim di Bilbao con derive nei paesi di nascita delle nostre rockstar dell'architettura preferite.
Essendo un vero centro sociale dell’architettura, non era ammessa vita privata. Liti infiammate e caste effusioni si consumavano davanti agli occhi di tutti i compagni. Divorzi e gravidanze, tradimenti e crisi esistenziali rientravano nel cartellone delle manifestazioni della grotta e venivano discusse durante le riunioni del direttivo che si svolgevano al Bar del Lupo in pausa pranzo o durante l’assemblea permanente che aveva luogo nel resto della giornata.
D’abitudine ci impegnavamo con disordinato entusiasmo in progetti istituzionali, a volte persino emettendo fattura.
L’aspetto migliore di noi, la nostra vera, spontanea e geniale vena creativa usciva però quando lasciavamo correre il pensiero a.r.l., a ruota libera.
Partorivamo in quei momenti indimenticabili pavimentazioni in prosciutto cotto, pannolini per infanti Pampers Focaccia, e svariati oggetti di design di dubbio utilizzo pratico ma di inarrestabile potere esilarante, come i guanti da sega, il camper l'aia o le mutandem. Ci lanciavamo, perseguitandoci via sms a qualunque ora del giorno, in calembour enigmistici alfanumerici.
Trascorrevamo con gioia infantile il nostro tempo tra progettazione, discussione e autoanalisi. Tutto il nostro tempo. In mancanza di commesse ci dedicavamo allo studio; avevamo una biblioteca degna di questo nome, che annoverava monografie, manualistica e periodici. Ma restavamo fermi sulla nostra cultura accademica fatta di Domus e Casabella. Così accettammo di buon grado le fenomenali innovazioni introdotte dai Pisellini, come la rivista El Croquis, attraverso la quale conoscemmo la Architettura del nostro tempo. Lo sviluppo della rete adsl e la modernizzazione dei computer ci spalancò la porta dell’immenso conoscibile della rete. Assorbivamo come spugne gli input che provenivamo dai più differenti settori della cultura. Pulp Fiction ci insegnò il concetto di “furbetto” che immediatamente trasferimmo  sull’oggetto della nostra professione, diventando il gradino più alto della nostra scala di valori estetici. “Simmetria se sbaglia mìa” divenne una sfida, un’ipotesi preconcetta da confutare; il “sindaco con i baffi” un modello concettuale da combattere, “dove metto a stendere il bucato?” e “ma poi come lo pulisco?” FAQ da glissare con superiorità intellettuale. Rimanemmo affascinati da Microservi di Douglas Copland e In lotta con la Verità di Gitta Sereny, che aprirono la via ad una spietata consapevolezza di rassegnazione della nostra condizione di sfigati della contemporaneità.
Di tutto questo non ho più nulla. Una foto, un progetto, un’elaborazione in Photoshop, un sms, un ciclostile o un radex. Tutto materiale smaterializzato. Non potrebbe essere altrimenti: ogni cosa, dai libri alle foto, dalla conoscenza all’ironia, circolava libero e senza padroni tra le pareti fredde ma accoglienti della grotta.

Per lorenzo, marco, valentina, cesare, riccardo, fabio e alessandra e per quelli sono stati lì.