Delle quattro vetrine per i dolci solo l’ultima contiene
qualche vassoio con bomboloni, bigné e brioches, e sono le nove di sabato
mattina.
Davanti alla vetrina mi torna in mente l’aspetto opulento
che conserva nei miei ricordi di bambina. Un infinito susseguirsi di paste, pastorelle
e salatini che scorrevo con lo sguardo aspettando che mio padre bevesse il
caffè e ordinasse il vassoio misto per il pranzo della domenica.
Bevo il mio cappuccio osservando quelle vetrine vuote,
pulitissime.
C’è una luce strana in questa pasticceria. Teschi e ragni
scendono dal soffitto, che il maledetto halloween s’avvicina e porco il mondo
globalizzato che c’ho sotto i piedi, ci tocca entrare in sbattimento per
dolcetto o scherzetto manco fossimo a Happy Days. E oltre alle ragnatele e le
zucche, questo posto ha le pareti nere.
Non era così, prima, ne sono abbastanza sicura, deve aver
cambiato gestione.
Da quando sono entrata poi, c’è ‘sto piagnisteo costante fastidiosissimo
dal fondo del locale. La ragazza dietro il banco si muove rapida, da un colpo
secco per svuotare il filtro e mette su un altro caffè.
“Sofia, ora mamma arriva” dice allungando le vocali e ripete
la frase meccanicamente, mentre prende i piattini e li sistema sul banco. Ma il
piagnisteo continua.
La ragazza è giovanissima, ha le occhiaie e la faccia
stanca, e dal tono esasperato capisco che la mamma che deve arrivare è lei.
Quindi la nuova gestione amante del total black è una coppia di ragazzini con
figlioletta, una gnoma alta sessanta centimetri che si dondola annoiata e mugolante.
Oggi è sabato, la materna è chiusa, la mamma lavora e la
figlia sta qui, con lei, fino alla fine del turno. Scommetto che dietro c’è il
papà che inforna paste e focacce.
Mi avvicino alla gnometta e mi abbasso per non farle paura,
indico una figura sul libro che tiene in mano.
“cos’è questo, un dioscuro?” le dico così, tanto per dirle
la prima cosa che mi passa per la testa.
“un trattore” mi fa lei.
“e ti piace il trattore?” che è una domanda idiota, ma la
bimba ha bisogno di considerazione e infatti mi risponde subito “sì” ovvero l’unica
cosa che poteva rispondere per non sembrare sgarbata.
Però ha smesso di mugolare e mi fa vedere orgogliosa tutta
la serie di disegni del suo libro, poi corre a prendere il bambolotto.
“e questo come si chiama?” chiedo, d’altronde ha due anni,
mica si può parlare dei massimi sistemi.
“deleterio” mi risponde, o per lo meno così mi sembra.
“deleterio?” faccio io ridendo, assolutamente certa che la
mia interpretazione del suono inarticolato prodotto dalla gnoma sia errata.
“DELETERIO?” fa una signora che si è introdotta nella conversazione
sui massimi sistemi e cerca di partecipare.
“CICCIO BELLO” dice questa volta chiaramente la gnoma, con una
punta di disappunto.
La signora mi ruba il ruolo di baby sitter e posso sottrarmi
alla conversazione, visto che il mio scopo è raggiunto e il piagnisteo è
cessato.
“quanto lo fate il cappuccio?”
“1,20” risponde la ragazza battendo lo scontrino, poi mi
guarda negli occhi “Grazie” mi fa sorridendo “per Sofia, intendo”
“figurati, ne ho due anch’io”.
Uscendo penso alla gnometta che passerà i prossimi sabati
della sua infanzia a mugolare nascosta in fondo al banco, tra il profumo delle
brioches, le pareti tinte di nero e baby sitter improvvisati, figlia di un
paese in cui il sabato le materne sono chiuse.