Non sono mai stata a Caprera, cioè alla Scuola Velica di Caprera, è'
una cosa che avrei sempre voluto fare ma mai.
Però le mie sorelle ci
sono state, l'estate della mia quarta ginnasio. Loro sono più grandi,
non di molto, quel tanto che basta per aver potuto fare delle cose che
io no. E viceversa.
Quell'anno convinsero mio padre
con l'appoggio della mamma e si iscrissero al corso di vela. Vivevamo a
Milano e frequentavamo tutte il Liceo Ginnasio Giuseppe Parini, e al
Liceo Ginnasio Giuseppe Parini molti, ma non tutti, andavano al corso di
vela. Alcuni sono anche diventati velisti.
Quell'estate comprarono le cerate, le scarpe da vela, prepararono lo zaino e partirono.
Alla
stazione di Viareggio montarono sul treno che le avrebbe portate al
traghetto. Io le guardavo con i loro zaini e i jeans e le fruit of the
loom bianche con quel piccolo logo colorato sulla spalla ed ero molto
felice per loro che se ne sarebbero state due settimane in un posto
meraviglioso, da sole.
Per tutto il tempo del corso guardavo il mare e pensavo a cosa sarebbe stato imparare ad andare in barca.
Le
loro rare telefonate, scandite dal rumore dei gettoni che cadevano, ci
raccontavano di vento e di sole, di scuola e scuffiate, di nodi marinari
e di cieli stellati, di cene cucinate tutti insieme e consumate al
chiaro di luna, perché alla Scuola Velica di Caprera non c'era luce
elettrica da sprecare.
Quando tornarono le andai a prendere con
mio cugino Mauro.
Con in miei 15 anni ancora da compiere mi sentivo
grande, perché le mie sorelle erano state a Caprera e perché mio cugino
era il più bello della spiaggia. Portava i jeans e gli stivali camperos e
aveva una bellissima cintura di cuoio e tutte le mie amiche erano
innamorate di lui. Mi faceva ridere perché era simpatico, aveva occhi
furbi e un sorriso delicato.
Quando il treno arrivò scesero loro.
Avevano i capelli schiariti dal sole e arricciati dal sale. La pelle
abbronzata e le stelle che ancora brillavano nei loro occhi. Calzavano i
sandali da indianina e i soliti jeans che si erano strappati per l'uso,
le catenine di paillettes e i campanellini alla caviglia. Erano
bellissime.
Erano lontane e quasi non parlavano, noi avevamo i biglietti per il concerto di
Neil Young. Ci infilammo sulla Renault 5 di mio cugino, ci fermammo a
prendere un pezzo di pizza in passeggiata e poi arrivammo allo stadio
dei Pini.
Lo stadio era pieno, ma non pieno come sono oggi gli
stadi ai concerti. Era pieno ma ci si poteva muovere, e cercammo un buon
posto sul pratone. Attorno a noi i ragazzi si riunivano in gruppetti,
ogni gruppo aveva chi rollava o preparava un impasto. In breve l'aria
assunse il sapore dolciastro della maria e gli occhi cominciarono a
bruciare per il fumo denso che restava appiccicato al prato.
Io
ero stordita da tutta quella gente così libera, che aspettava pacifica
che il concerto cominciasse. Qualcuno ogni tanto si girava e offriva un
tiro. Le mie sorelle tintinnavano ad ogni movimento, ridevano mostrando
i loro denti bianchi e i loro occhi azzurri. Era settembre, e al
tramonto Neil Young cominciò a suonare.
Era il mio secondo
concerto. Il primo, a giugno di quell'estate, sempre allo stadio dei
pini, era stato Pino Daniele nel tour di Vai mo', con Toni Esposito, Joe
Amoruso, Rino Zurzulo, James Senese e Tullio de Piscopo. Non so perché,
ma la formazione della band di Pino mi è rimasta nella memoria e ancora
oggi ogni tanto la recito come un mantra.
Invece del concerto di Neil Young ricordo poco, ma mi piacque tantissimo.
Il
giorno dopo fu il momento dei racconti della scuola di vela. Avevano
fatto le lezioni teoriche e quelle pratiche, avevano iniziato con delle
barchette e poi erano passate a quelle più grandi. Avevano lavorato un
sacco e dovevano dormire il pomeriggio perchè al mattino ci si
svegliava presto ed erano stravolte.
La sera gli istruttori
mostravano loro il cielo e raccontavano di quella stellina luminosa e
tutta sola che aspettava di trovare una stella che le facesse compagnia, ma a me non era dato di sapere se l'avesse trovata.
Mia sorella
Susanna era diventata molto selvatica, non portava le scarpe perché
diceva che oramai non c'era più abituata. Fumava le camel, che avevano
un bel pacchetto e una scritta sul retro con un messaggio nascosto, e le
spegneva gettandole a terra e schiacciandole con il piede nudo.
Guardavo
ammirata le sue piante dei piedi e cercavo di camminare anch'io a piedi
nudi; il ghiaino del parcheggio del bagno Lagomare alla marina di Torre
del Lago era dolorosissimo ma ci provavo lo stesso.
Poi ci
rimettemmo tutte le scarpe e tornammo a Milano, avevo latino a settembre
e gli esami di riparazione da fare, aspettando di compiere 16 anni per
potermi iscrivere alla Scuola di Vela di Caprera.